Intervista a Olimpio Talarico

Dopo la recensione del romanzo “Il due di bastoni”, ho avuto modo di incontrare virtualmente Olimpio Talarico per rivolgergli qualche domanda a proposito del suo libro e del suo rapporto con la letteratura.
Ecco qui quello che ne è emerso..

Fercolo, il paese in cui è ambientato il romanzo, è un nome di fantasia, una sorta di luogo non ben definito. Come mai una scelta di questo tipo? Che cosa rappresenta per te Fercolo?

Fercolo è il luogo della calabresità. È il paese dove ogni calabrese si riconosce, non solo attraverso i paesaggi, ma soprattutto grazie agli odori, alle atmosfere, ai silenzi. Il lettore riconosce in Fercolo uno dei tanti agglomerati sparsi sulle colline di questa regione. Per me, invece, Fercolo è Caccuri, il luogo dove sono nato, cresciuto. È il posto dove mi ritrovo e dove necessariamente devo far ritorno almeno tre volte in un anno.

A differenza di molte opere di autori esordienti, colpisce la maturità della tua scrittura. Quindi ti chiedo, quando hai cominciato a scrivere? Quanto tempo hai impiegato nella stesura del romanzo?

Ho cominciato a scrivere seriamente molto tardi. In passato mi dilettavo con la stesura di alcuni articoli, lettere. Poi circa quattro anni fa mi sono guardato dentro e mi sono accorto che avevo delle storie da raccontare, dei personaggi da far vivere. E per puro piacere ho iniziato a scrivere “Il due di bastoni”, terminato poi due anni fa.

Che cosa rappresenta per te la scrittura e cosa ne pensi dell’attuale mercato editoriale dove è sempre più difficile trovare la propria collocazione? Qual è stato il tuo iter?

Per me la scrittura è lo strumento che mi permette di far rivivere storie che non ho vissuto, creare personaggi ai quali avrei voluto assomigliare o dai quali avrei voluto scappare. Lo scrittore è un inventore di vite e questo atto creativo mi fa sentire protagonista assoluto di qualcosa di importante. L’attuale mercato editoriale (lo sai meglio di me) è una bolgia dantesca. Sessantamila libri pubblicati in un anno sono tanti, le case editrici a pagamento sono un cancro pericolosissimo, arrivare alle case editrici che contano rappresenta quasi un sogno. Fabrizio Bianchini della Montag è stato uno dei primi a rispondere a una mia mail. Lo ha fatto con intelligenza e competenza e poi ho trovato la sua proposta interessante e mi sono fermato.

Ogni capitolo del tuo libro è preceduto da una citazione in exerga, il più delle volte tratta da una poesia. Mi viene spontaneo domandarti se e quanto la poesia abbia influito nella tua formazione letteraria.

Io leggo poesia soprattutto per lavoro, la prosa per piacere. Quotidianamente mi imbatto in testi poetici, quindi è la poesia ha sicuramente influenzato il mio modo di vivere la letteratura e soprattutto di scrivere romanzi. Mi viene molto naturale utilizzare gli strumenti della poesia all’interno della prosa.

A parte la poesia, quali sono i generi e gli autori che preferisci?

Ho letto molto i classici sia italiani che stranieri. Da qualche anno preferisco la letteratura contemporanea. Ho bisogno di leggere e quindi sentire un uso della lingua più moderno, dinamico, a passo con i tempi. Per chi scrive il confronto con i colleghi più bravi rappresenta un’ottima palestra.

C’è un libro che ti ha cambiato la vita o che comunque ti ha invogliato a intraprendere il mestiere di scrivere?

No. Non esiste un libro che ha cambiato la mia vita. E aggiungo per fortuna. Sono le persone che incontri che ti cambiano la vita, soprattutto gli uomini e le donne che hanno letto tanto.

Leggendo il tuo romanzo, traspare quasi un’urgenza narrativa da parte tua. Cosa ti ha spinto ad affrontare un periodo così doloroso, che comunque non hai vissuto in prima persona?

La parte finale del mio romanzo è dedicata ai ringraziamenti. Ringrazio degli amici, ma soprattutto ringrazio la memoria e la piazza. “Il due di bastoni” è nato in piazza fra le storie che ho ascoltato e le persone che ho conosciuto e amato.

Uno dei personaggi più curiosi e affascinanti, a mio avviso, è Libero, soprannominato due di bastoni. Come nasce questo singolare personaggio e perché dà il titolo al libro?

Libero era un personaggio della piazza. I paesi, soprattutto quelli meridionali, erano in passato arricchiti dalla presenza di queste persone semplici, adulti-bambini che vedevano il mondo con occhi diversi dai nostri. Libero è l’unico personaggio del romanzo che parla sempre in dialetto, a testimonianza del fatto che è colui che più di ogni altro è legato al territorio e forse lo conosce meglio.

Per un esordiente arrivare tra i finalisti del prestigioso premio Tropea è senz’altro una grande soddisfazione. Raccontaci qualcosa di questa esperienza.

Anche nel mondo dei libri sono determinanti gli incontri, quelli che inaspettatamente ti possono cambiare la vita. Per mia fortuna il mio romanzo è stato letto dalla persona giusta. Si è innamorata de “Il due di bastoni” e lo ha proposto alla giuria del premio Tropea. Vedere la mia opera (l’unica casa editrice piccola tra Mondadori, Einaudi, Feltrinelli) tra i vari De Cataldo, Zecchi, Gamberale, Agnello Hornby, essere letto da Isabella Fedrigotti, Corrado Calabrò è stata una soddisfazione immensa.

Hai già una nuova opera in cantiere? Qualche anticipazione?

Ho in queste ore messo fine alla stesura del mio secondo romanzo. Come tu ben sai, inizia adesso il periodo più difficile fra correzione di bozze e ricerca dell’editore.